Guerrini

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Luciano Fiannacca: novello “pictor optimus”?

cat_guerriniLa modernità ha posto in evidenza in modo definitivo ragioni estetiche che, costituendo una sorta di filo rosso sospeso tra espressione e linguaggio, sono in grado di intrecciare sotterranei legami tra periodi, cose e situazioni apparentemente inconciliabili. Tali ragioni sono soprattutto in grado di tenere costantemente vivi fuochi della spiritualità umana, che l’arroganza della storia decreta come spenti, morti. E’ in virtù di questo che termini come avanguardia, postmoderno e, attualmente in attesa di neologismo definitivo, post-post-moderno, sono in grado di rappresentare realtà esclusivamente didattiche. Tra le molteplici innovazioni introdotte dalla modernità delle cosiddette avanguardie artistiche si trova una nuova e più decifrabile dimensione della loro temporalità. Questo fenomeno ha certamente permesso di individuare con molta precisione sul piano storico e cronologico, l’inizio e la fine di una data esperienza artistica. Tuttavia rimane invece problematico, se non impossibile, definire e soprattutto circoscrivere quella specie di chimica residua, che segna l’esito di ogni fine, di ogni morte e che determina una mobilitazione estetizzante, un’oscillazione del gusto, le quali si comportano come un’imprevedibile forza tsunamica. Non vi è dubbio che le stagioni dell’espressionismo astratto e della pittura informale insieme allo scenario storico che portò alla coagulazione culturale di simili esperienze artistiche, abbiano definitivamente concluso la loro stagione. Tuttavia dalle macerie di quei periodi ormai estinti e storicizzati si sono salvate più cose di quanto fosse possibile e lecito presumere. Uno degli autori contemporanei, nella cui opera è possibile rintracciare importanti cifre artistiche legate soprattutto all’intera stagione astratta statunitense, è il pittore Luciano Fiannacca. Tali cifre, vere sedimentazioni culturali ed esistenziali, lontane dal costituire un accademismo di nuova era o di rappresentare un recupero di stampo citazionista ed anacronistico, stanno alla base di un nuovo senso, pieno e coerentemente lecito, nello scenario degli orientamenti artistici coevi.

Fiannacca nasce a Genova nel 1951 e, in una città, allora come oggi, sfortunata e intellettualmente blindata, riesce ad emergere. Il suo attuale curriculum è impressionante per un autore che ha solamente cinquantaquattro annidi età. I suoi esordi avvenuti agli albori degli anni settanta, salutano l’emergere di un talento peraltro già riconosciuto ed ammirato dai suoi stessi maestri (Borella, Basso, Bargoni). Da allora la sua ricerca si è costantemente distinta per l’intima coerenza stilistica ed il cristallino rigore intellettuale. Attualmente è già possibile parlare della maturità di questo artista che negli ultimi cinque, forse sei anni, ha messo a punto un processo operativo in grado di garantirgli un’efficace medium delle componenti culturali, emotive e vitali del suo pantheon linguistico e comunicativo. Nei suoi quadri, costituiti solitamente da grandi tele rettangolari con lati di grandezza spesso di molto superiori al metro, c’è un piccolo e perfetto mondo fatto di poche e controllatissime azioni pittoriche magicamente sospese in dualismi concettuali tra cultura e libertà, tra ricerca ed espressione. Un mondo costruito su drammatiche armonie sorrette da una sapiente capacità di porre in relazione gli elementi fondamentali della figuratività astratta di stampo espressionista: il segno e il gesto (l’accidente guidato), i valori della materia, l’organicità della non- forma. Insomma tutti i componenti del delicato equilibrio tra visibile e leggibile costitutivi della comunicabilità artistica moderna. Ma non basta. Uno sguardo più attento all’interno delle modalità procedurali dell’opera di Fiannacca rivela importanti peculiarità. E’ l’autore stesso a rivelare che i suoi quadri sono in una qualche misura progettati, il che esclude la possibilità di adoperare un’ assioma interpretativo esclusivamente ridotto al solo segno-gesto, confutato dall’anticipazione prefigurale o preoperativa, anche se poi nella stesura definitiva è spesso ampliamente disattesa. Inoltre l’educato e misurato gesto che conduce la stesura delle paste pittoriche, sovrapposte per mezzo di frettazzi e spatole, è indicativo di una sospensione e di una elaborazione emotiva non riconducibili ai furori della pittura d’azione tipica dell’espressionismo astratto. Pur rispettandone l’aspetto, per così dire, rituale, l’azione di Fiannacca è condizionata soprattutto dai tempi tecnici di coagulazione ed essiccazione delle vernici da muovere sulla tela agita verticalmente. Uno dei poli del suo impianto operativo è rappresentato proprio dall’accurata riflessione sul mezzo di produzione, sulla materia pittorica, che nulla concede alle lusinghe della lucentezza cromatica e di una sua possibile fruizione edonistica (le paste colorate di Fiannacca sono da lui trattate con gesso o altro materiale che le opacizza). Un altro polo è costituito, in modo apparentemente contraddittorio, dal mantenimento di un’istanza narrativa, di un volere rappresentativo, che sfociano in unità di forme, andamenti e colori assimilabili ad un paesaggio . Gli intenti “paesaggistici” non sono evidentemente di natura mimetica, neppure nel senso di una trascrizione , più o meno automatica, di paesaggi interni. Il risultato è invece qualcosa di più complicato, che certamente scaturisce da una ricerca di libertà, naturale ed espressiva, una ricerca non degli istinti brutali e primordiali della sensazione, ma della ragione, del pensiero, dell’esistenza organizzata, umana, politica. Inoltre il progressivo tendere alla semplificazione, alla riduzione eidetica del segno-gesto-colore-spazio è propedeutico alla ricerca di un nuovo grado della pittura prossimo allo zero, dove la facoltà del fare artistico nono lascia più nulla di impresagito.
Le mutazioni, che ingannano la traccia progettuale, fatte di improvvisi e catastrofici cambi di direzione di un gesto o di una sovrapposizione cromatica, rientrano comunque nell’ambito di un atteggiamento che mira al controllo totale della prassi operativa.
L’opera di Fiannacca è contraddistinta anche da una coraggiosa posizione culturale e sociale, tesa com’è a difendere la volontà di fare ancora pittura. Ha ormai superato le riflessioni esistenzialiste sul da-sein, che contribuirono alla nascita della tendenza informale, della pittura allo stato brado, da cui emersero i valori del segno (inteso come puro gesto esistenziale) e della materia, la quale non rimanda ad alcuna forma o immagine.
Nell’autore l’essenza della pittura è la sua cultura e la cultura è costituita necessariamente da fattori sia normati che normanti perennemente sospesi nell’eterna dialettica tra storia e libertà.
Silvio Ferrari, nell’introduzione del catologo di una mostra personale di Fiannacca avvenuta nella galleria d’arte R. Rotta di Genova nel maggio del 2000, riconosce una sorta di sinestesia negli elementi formali e spirituali che costituiscono la sua opera. Mantenendo una terminologia retorico stilistica, si potrebbero invece assimilare questi stessi elementi ad un “anacoluto pittorico” , che sbaraglia definitivamente il campo interpretativo dell’arte di Fiannacca anche da implicazioni decadenti o simboliste.
Affiora così una rinnovata direzione stilistica, in grado di veicolare un nuovo e pieno senso della tradizionale riflessione sulla pittura, che molta critica ed altrettanto mercato hanno ritenuto e ritengono esaurita, affermando che il solo tradimento della tradizionale dimensione dell’opera ed il ricorso a mezzi espressivi che sostanzialmente negano la pittura, potevano costituire l’unica possibilità di dare un’operatività alla spiritualità della nostra epoca.

Roberto Guerrini
Icaro, N.2, Dicembre 2005