Caprile

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L’opera dell’artista inizia sempre per caso

cat_caprile“L’opera dell’artista, poesia, pittura, musica, ha sempre un inizio “per caso”. Poi lo svolgimento la propone e la riconduce a una legge nella quale essa compiutamente si definisce e riposa”, scriveva Fausto Melotti in uno dei suoi “foglietti” e continuava in un successivo appunto: “Nella consapevolezza inconsapevole ovverosia nello sviluppo controllato e per altro verso incontrollabile di tutta un’opera, la prima linea tracciata già ne tiene e manifesta il canone”: Tali riflessioni si possono adattare al lavoro di Luciano Fiannacca, un pittore magari lontano dalla “pulizia” formale di Melotti, ma intinto come lui di senso musicale, votato a un ritmo che dal “caso” si dipana nello spazio per sovrapposizioni cromatiche, per getti e per gesti, come al cospetto di una gemmazzione provocata dal fondo mocromamente modulato o da un nucleo o da un centro che regge movimenti consapevolmente inconsapevoli. Le radici del suo informale sfiorano la cultura dell'”action painting” e della scrittura automatica per calarsi più decisamente in un vitalismo mediterraneo, nobilitato da un’eleganza e da un’essenzialità linguistica che avvolge il racconto di allusioni paranaturalistiche: i brani di colore, impastati nel geso per assaporare opacità e increspature materiche, vengono stirati e incisi a taglio di cazzuola per lacerti di uccelli o di personaggi dell’inconscio; prati e cieli si incontrano al piegar del vento e di emozioni nobilmente aggredite e smembrate, al pari dei pensieri, lungo filamenti che attraversano, attraversandosi, piccoli contrasti e ampie comunioni di convergenze pittoriche, come se tutto il quadro corresse verso una perfezione cosmica al di là dell’esplosione timbrica.
E’ la forza centrifuga dunque la molla che spinge Fiannacca verso i limiti dell’opera, verso una libertà di espressione non mortificata in origine da proponimenti di comodo: è la prima linea appunto, come affermava Melotti, il segno del destino, la traccia per un pensiero che proseguirà per orizzonti sconosciuti al primo “colpo” sulla carta o sulla tela ancora incontaminate. Ed è appunto la prima contaminazione su uno sfondo preparato per officiare il rito a determinare la sorte del quadro, il susseguirsi dei movimenti, il richiamo delle ulteriori tonalità in rifiuti e in accomodamenti. Egli persegue talora la vitalità degli opposti o una comunanza di fuochi accesi per officiare la fuga ai margini. Le sue sono opere scaturite da emozioni quotidiane (lo rivelano i titoli) che ognuno può ricostruire coi tasselli del proprio mosaico sensibile facendo intervenire il vento, il cielo, il sogno, che sono poi gli elementi di evasione ideale che più intimamente ci appartengono. I pensieri pittorici di Luciano Fiannacca paiono collocarsi al di sopra della vita delle città e dei travagli degli uomini: anche certi racconti notturni e certe cupe tensioni del “paesaggio” si risolvono in una luce ascensionale.
Ma non si pensi a un Fiannacca intento a dirimere enigmi esistenziali, votato a una benevolenza di comodo per compiacere magari il mercato. L’ottimismo va conquistato per gradi e per tensioni da addomesticarsi traccia dopo traccia, filo dopo filo in un dedalo di accordi, di “suoni”, di privazioni, di assenze improvvise, per consentire al gesto di vestirsi di nuove speranze. Tale dono si rivela alla fine di ogni opera, in primis a Fiannacca che l’ha eseguita e poi a ciascuno di noi che l’ha indagata e inseguita con lo sguardo prima di possederla.

Luciano Caprile, Dicembre 1989