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La pittura insegue Fiannacca

cat_ceritelliQualcosa di duraturo va incarnandosi in questi ultimi quadri di Fiannacca, il senso di una forma integrata nell’atto pittorico, identificata nei segni che esprimono l’energia e la dissipazione materica. Se pensiamo ai “combattimenti enigmatici” del colore di qualche anno fa, vortici di forme esplose nel corpo della materia, non possiamo che riconoscere superata quella fase di aperta disponibilità ad una percezione sospesa su se stessa, sparsa nelle tracce dei blu, dei verdi, dei rosa o degli aranci, insistenti a trascinare l’immagine fuori di sé, oltre la misura assorbente dei neri e dei grigi. Ciò che è alle spalle, naturalmente, insegue e continua a influire sull’occhio, con la testa stordita di tinte e di luci brillanti che ricevono nuove emozioni dal gesto e dalla fisicità persistente dell’artista. Fiannacca non ha soprattutto smarrito quel “silenzioso e rabbioso rimanere dentro al quadro, quella inquieta e caparbia presenza” che Brenda Bacigalupo ha fortemente sottolineato nell’atteggiamento del giovane pittore. Sono rimasti i colori, la loro forza dominante che oggi imprime alla superficie un sogno diverso, più dinamico e scattante, giocato sulla velocità di esecuzione ma anche sul lento e stratificato costruirsi dell’immagine. Si possono cogliere diversi passaggi formali che ci parlano di spessori materici, segni tracciati in vibrazione, colori stesi e tirati d’istinto sopra fondi lungamente lavorati, per essere di nuovo scomposti e feriti dal gesto di vitalità dell’artista. Tutto ciò può direttamente collocare il lavoro di Fiannacca nel filone postinformale deli anni ottanta, nella rilettura delle radici materiche e delle consapevolezze del gesto che spesso si è esaurita nel puro esercizio del citarsi addosso ciò che è impossibile citare, la pittura. Ma per Fiannacca, abituato a cercare il colore nella pratica del colore e non fuori di essa, si tratta di un diverso orgasmo, tutto interno all’ascolto dell’immagine, aperta e chiusa nello stesso tempo, in virtù della massima impressione di mobilità percettiva. L’artista continua a dipingere la metafora della 2Amalassunta esplosa in volo”, l’entusiasmo del colore che diventa una scheggia volante, una frusta impietosa nei confronti dello spazio circostante. Se prima tutto era nella dispersione controllata delle particelle cromatiche, in un andirivieni senza direzione privilegiata, ora l’immagine ha un andamento, un impulso e una direzione strutturata per linee immediate di colore. Inutile forse leggervi dinamiche di ascesa o discesa, tempeste di materie nel paesaggio o frammenti di natura variopinta. Quello che conta è che la pittura di Fiannacca si costruisce e si cancella in un tormentato stratificarsi di sensazioni fugaci, ed esse appartengono al colore nel puro attimo della loro apparizione. Ogni nuovo gesto distrugge il precedente e la totalità di questi gesti sovrapposti diventa lo scopo essenziale dell’immagine, il suo essere, diciamolo pure, visione e memoria informale. Per il nostro pittore il problema è, a dire il vero, il presente, la ricerca in atto del senso attuale e operante del dipingere, il realizzare sulla tela almeno l’ipotesi del proprio ruolo di creatore. La questione è delicata, soprattutto oggi che alla pittura si vanno di nuovo contrapponendo estetiche tecnologiche fin troppo radicali nello svalutare la splendida concentrazione dell’atto pittorico. Il quale, del resto, non è mai messo in discussione dai pittori e da coloro che amano la pittura, ma sempre e soltanto dagli operatori del gusto, con motivazione che vanno oltre l’ambito della pittura, dunque oltre le ragioni di Fiannacca.

Claudio Cerritelli, marzo 1990

Un pittore irrequieto

cat_digenovaChe Luciano Fiannacca sia un irrequieto lo si ricava non solo dalla sua fiammeggiante, e talvolta agitata come da un vento interiore, pittura degli ultimi tempi. Sin da quando cominciò a imporsi nella sua Genova e poi in Liguria all’attenzione critica,quell’irrequietezza era alla base del suo operare, anche se la svolta da lui operata nel 1974, anno in cui avviò quella che lui stesso definì “ricerca sui materiali” (1), poteva apparire a occhi poco attenti di tutt’altre valenze per quel ricorso alle scansioni astratto-geometriche sia delle opere e sia dei materiali. su di esse strutturati.

L’irrequietezza di Fiannacca, infatti, è un modo di stare nel mondo e di porsi nei confronti del reale, modo che è oggi a presa diretta pittorica, come stanno a testimoniare i suoi furori gestuali (e stavo per dire le sue tormente materiche), e che invece a metà degli anni Settanta si arrovellava a ritrovare rapporti con la naturalità dei materiali usai (per lo più il legno) all’interno della tradizione storica più che dell’attualità, cioè più rivolta alla lezione delle avanguardie del ‘900, nella fattispecie a quella delle ricerche artistiche espletate sulla linea costruttivista, che non alla pressione delle neoavanguardie, nella fattispecie dell’Arte Povera, che era stata teorizzata sul finire degli anni Sessanta proprio da un critico di Genova.

Giorgio Di Genova